Achille e il suo tallone: sogni, obiettivi e self coaching

Come imparare a sognare per raggiungere meglio i propri obiettivi: spunti di self coaching

Achille e il suo tallone
Achille e il suo tallone

Quanto sai sognare?

 

Partiamo da qui: immaginati di avere un “sognometro”, che misuri la frequenza con cui sogni. No, non i sogni notturni, ma quei sogni ad occhi aperti sul futuro che ti fanno battere il cuore. Quanto vale? Sei soddisfatto di questo valore? E quali sono gli ostacoli che ti impediscono di aumentarlo?

Partiamo proprio da qui: se non hai quel tipo di sogni, è difficile che tu possa pensare a dei veri obiettivi, perché mancherebbe loro l’anima.
Nel mondo del coaching, uno dei temi più profondi è l’equilibrio tra sogni e realtà, una dinamica affascinante che ispira crescita e raggiungimento degli obiettivi. Eppure la dimensione del sogno è spesso trascurata, perché ci insegnano, fin da quando siamo piccoli, che chi sogna troppo ha la testa per aria, mentre per avere risultati nella vita dobbiamo tenere i piedi ben piantati a terra. Come risolvere questa dualità?

 

Il tallone d’Achille diventa un punto di forza

 

Ci viene in aiuto la mitologia antica, con la metafora di Achille. Per garantirgli l’invincibilità, il futuro eroe viene immerso nello Stige, tenendolo per il tallone. Che fatalmente resta fuori dalle acque miracolose e diventa il suo punto debole.
Rovesciamo la metafora: per raggiungere gli obiettivi dobbiamo immergerci completamente nella realtà e nella concretezza, ma preservando sempre una parte di noi – il tallone appunto – connessa con i sogni. Il tallone diventa un punto di forza, non di vulnerabilità.

 

Sogni e obiettivi, come farli lavorare insieme?

 

Nel coaching si parte sempre da un “obiettivo sogno”, che è ciò che ci dà la visione e la motivazione. Ma, fatalmente, è troppo grande per essere lavorato così, senza passaggi intermedi. Perchè ogni grande obiettivo, necessariamente, non dipende totalmente da noi, non è completamente sotto la nostra responsabilità, e non è detto che sia davvero realizzabile.
Dobbiamo immergerci, come Achille, nello Stige – cioé nella realtà – e trasformarlo in un obiettivo concreto e raggiungibile, scomponibile in piccole tappe e misurabili e soprattutto sotto il nostro controllo. E’ proprio questo che succede nel coaching e che ognuno di noi può impostare anche da solo quando ragiona sui prossimi obiettivi che vuole raggiungere.

Self coaching: le domande per cominciare

Prima fase: il sogno

  • Identifica un tuo sogno
  • Da chi dipende il fatto che possa realizzarsi? (in percentuale: da te / da altri/ dalle condizioni di contesto)
  • Visto in questo momento, quanto è realizzabile? (in percentuale 0-100)
  • Come puoi riformularlo per renderlo più realizzabile e aumentare il grado di responsabilità in capo a te?
  • Scrivilo
  • Rileggilo: se lo raggiungi che valore aggiunto dà alla tua vita? E alla persona che sei?
Seconda fase: l’obiettivo e l’action plan

  • Prendi l’obiettivo-sogno di prima
  • E’ sufficientemente specifico? Fai una fotografia dettagliata dei risultati che vorresti
  • Individua almeno 3 tappe di tipo SMART (definite in positivo, misurabili, raggiungibili, sotto la tua responsabilità, temporizzate)
  • Quali risorse INTERNE ti servono?
  • Quali risorse ESTERNE devi attivare?
  • Qual è la prima azione che farai già domani?
Per aiutarti, puoi anche attingere all’Intelligenza Artificiale generativa, come ad esempio ChatGPT: può essere uno strumento prezioso per generare domande di riflessione, che ci invitano ad analizzare le priorità e allineare il nostro percorso di crescita personale. Ci hai mai provato?

A proposito di self coaching: un bella idea ma…

Il self coaching è un processo in cui una persona utilizza tecniche e strumenti di coaching per auto-guidarsi nello sviluppo personale e nel raggiungimento dei propri obiettivi. E’ una riflessione autonoma sulle proprie sfide, sogni e obiettivi, per sviluppare una maggiore consapevolezza di sé, migliorare la capacità decisionale e accrescere l’autoefficacia. Naturalmente non è facile – e nemmeno sempre possibile – essere contemporaneamente coach e coachee.
Senza un punto di vista esterno, si resta inviluppati nella propria “mappa”, viziata da bias cognitivi, pregiudizi, abitudini, credenze, valori, dinamiche sistemiche, che spesso sono proprio l’origine delle modalità che ci impediscono di raggiungere i nostri obiettivi.
C’è poi un tema di struttura e responsabilità: la persona deve riuscire a mantenere la struttura e la disciplina da solo, stabilendo obiettivi, piani e verifiche dei progressi senza la supervisione esterna. Questo processo è delicato, perché soggetto ad un effetto-elastico: c’è il rischio di tornare indietro alle vecchie abitudini, che sono le regine della zona comfort.
Chi di voi ha mai provato a seguire una dieta, e immancabilmente – dopo qualche tempo – si è ritrovata al punto di partenza?

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